Perche e’ importante il rapporto padre-figlio?

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Uno studio della European Psychoanalytic Association rivela che i padri italiani sono gli ultimi in Europa: giocano in media solo 15 minuti al giorno con i propri figli.

Secondo questa ricerca i papà quando tornano a casa si siedono davanti alla tv anziché dedicarsi ai propri figli oppure giocano al computer o alla play station.

Bisogna ricordare però che il rapporto padre-figlio si costruisce fin dalla prima infanzia.

Il rapporto tra papà e figlio maschio è di centrale importanza per la crescita di un bambino, anche se spesso questo legame finisce col venire banalizzato, o addirittura considerato superfluo. Il ruolo della madre è di certo prominente nei primi mesi di vita, poiché la sua figura di protettrice-nutrice fa sì che vengano a crearsi i presupposti per un rapporto simbiotico che ad uomo è di norma precluso.Tuttavia, la figura paterna assume rilevanza centrale non solo per favorire l’emancipazione di un figlio da questo dualismo (che in presenza di situazioni morbose rischia di sfociare nel patologico) bensì fin dai primi momenti di vita di un bambino.Essere un buon padre significa infatti anche sapere accettare un ruolo apparentemente comprimario, ma che in realtà è di importanza basilare nelle dinamiche familiari. Specialmente per un figlio maschio, per il quale l’uomo è imprescindibilmente chiamato a rappresentare il primo – nonché più importante – modello di riferimento.Se inizialmente il bambino cerca costantemente la madre infatti, a causa del suo ruolo che si rifà prevalentemente a compiti di accudimento e di sostegno, ciò non significa che il padre debba essere spettatore passivo della situazione. Anzi, è proprio nella sua “collocazione periferica” rispetto alla diade madre-figlio che l’uomo trova il significato più profondo ed importante della propria figura genitoriale.

Nel corso di questo secolo, in modo lento e differenziato, il ruolo del padre nella famiglia si è trasformato rispetto a qualche decennio fa, quando era presente una rigida individuazione tra maschile ed femminile, con inevitabili ripercussioni nei ruoli genitoriali all’interno del nucleo familiare.

Il padre contribuisce a definire l’identità del figlio, come altro da sé e dalla madre. Nel momento in cui il figlio si sente chiamato con il proprio nome e riconosciuto come altro, cioè con un proprio corpo, una propria pelle, un proprio pensiero, una propria individualità, può separarsi da quell’utero nel quale è stato contenuto e cresciuto e sentirsi nato. E’ questo uno degli aspetti fondanti del rapporto padri figli: la funzione paterna consente  la separazione dall’utero accogliente per entrare in un nuovo mondo; è la stessa funzione che consentirà all’adolescente prima e al giovane poi, di separarsi dalla famiglia ed entrare nel mondo sociale.Il padre con la crescita del figlio inizierà ad assumere una sorta di ruolo di traghettatore del figlio dalla madre verso il mondo esterno.Nel contesto del rapporto padre-figlio, la funzione paterna è stata molto valorizzata da Freud, che individuò la sua importanza soprattutto nei processi legati alla costituzione e all’elaborazione del conflitto di Edipo, allo sviluppo dell’identità sessuale, all’interiorizzazione di un codice etico e morale e allo sviluppo del Super-Io.
Il padre è il testimone della ferita iniziale, quella che rompe la simbiosi madre-bambino e aiuta il figlio a vivere in maniera strutturante le difficoltà della vita educandolo al desiderio. Senza di esso il figlio rimane nella simbiosi, nella stasi che gli impedisce di trasformare tale perdita da esperienza distruttiva a passaggio indispensabile per la costruzione della propria identità.

Ma quali sono le funzioni del papà?

Verso i 7-8 mesi il neonato impara gradualmente a riconoscere la madre come un’entità distinta da sé e comincia a riconoscere la figura paterna. Da questo momento, fino ai 7-9 anni, il padre assume un’importanza fondamentale per il figlio: se questo rapporto viene vissuto appieno, il bambino ha la possibilità di sopportare senza gravi traumi il distacco dalla fase simbiotica con la mamma, imparando a relazionarsi in modo sereno ed equilibrato con il mondo esterno.

In questa fase di scoperta, il papà diventa il simbolo di sicurezza per antonomasia, sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista emotivo. L’approccio di un bimbo al mondo avviene solitamente in modo cauto e piuttosto diffidente, difatti tendenzialmente si impara prima a dire ‘no’ e poi a dire ‘sì’. Il papà diventa (o dovrebbe idealmente diventare) lo scudo fondamentale da interporre tra la paura e il pericolo percepito. Quando la figura paterna è assente, debole o non disponibile, questo meccanismo può alterarsi, lasciando il bambino spaesato e vulnerabile in un mondo vissuto come minaccioso e più grande di lui.

– E’ padre autoritario ma non autorevole che fallisce, perchè utilizza il distacco emotivo e la durezza per far rispettare le proprie regole perdendo così le opportunità educative che l’autorevolezza gli consentirebbe ma, soprattutto, non sfrutta quello che pare essere l’ultimo vantaggio che rimane ai genitori per essere ascoltati: l’amore.

– E’ il padre che si pone nei confronti dei figli come compagno di giochi rinunciando ai suoi doveri educativi. Egli diventa l’amico dei figli, ma un padre non è un amico, un padre è un educatore il quale per fare bene il suo lavoro si pone su un piano diverso dall’educando, ha un’autorità e deve avere lo spazio e la forza di prendere decisioni impopolari e forti, cose che un “amico” non può fare.

– E’ il padre materno che fallisce perché, pur occupandosi con dedizione ai figli, appiattisce il proprio ruolo in una mera duplicazione delle attività e delle modalità materne. Questo modo di essere fa mancare ai propri figli la figura virile di un padre che fa il padre con un suo stile, un suo metodo, una sua sensibilità. La valorizzazione e l’accentuazione di questa differenza è un patrimonio inestimabile per i figli che, conoscendola, avrebbero l’opportunità di cominciare lo straordinario viaggio verso la scoperta dell’altro, del quale, la scoperta del padre, è la prima tappa.Verso gli 8-9 anni, il padre aiuta a distinguere il bene dal male, trasmettendo i criteri di valutazione che corrispondono all’obbedienza/disobbedienza nei suoi confronti.

Il codice morale primitivo si forma, infatti, sulla base dell’esempio paterno e soltanto in seguito, con lo sviluppo e il consolidamento della personalità, sarà possibile modificarlo. La trasmissione di questo codice morale non avviene mai attraverso «prediche» e discorsi, ma solo ed esclusivamente con l’esempio.

Un padre che bestemmia davanti al figlio non potrà pretendere che il figlio faccia diversamente, perché con il suo comportamento avrà già dato un permesso implicito praticamente impossibile da ritrattare, se non modificando la propria condotta, lo stesso dicasi per un padre che beve o si droga. La crescita ed il continuo confronto con il mondo esterno porteranno, poi, il ragazzo a modificare con fatica le norme errate trasmesse da padri troppo autoritari, punitivi o rigidi e tale processo sarà ovviamente più difficile nel caso di padri immorali o delinquenti.

 Gli strumenti comunicativi a disposizione di un padre sembrano di fatto meno potenti rispetto a quelli che può vantare la madre. Se da una parte il ruolo della madre è di fatto insostituibile, dall’altra lo è anche quello del papà (parlando sempre di situazioni ideali ovviamente,) in quanto e’ possibile far crescere un figlio in maniera sana pur essendo padre single. Uno dei compiti più ardui dell’uomo è infatti quello di mediatore nei processi interattivi madre-figlio, ed è un’incombenza che raggiunge la massima rilevanza proprio nel suo essere “intruso“: si tratta infatti di un’interferenza, quella dell’uomo in questo dualismo, direttamente funzionale sia allo sviluppo autonomo del bambino, sia al “recupero” dal trauma dello svezzamento per la madre.Un buon padre dovrà dunque riuscire a trasmettere serenità alla propria compagna durante il naturale processo di distacco dal figlio, e parallelamente favorire l’emancipazione di quest’ultimo in maniera graduale. Ed è proprio all’interno di queste dinamiche che la figura del padre quale paradigma di riferimento per un figlio maschio, assurge alla posizione più elevata. Tuttavia, anche questo processo non sarà affatto privo di conflittualità. Se nei primi mesi di vita infatti il bambino non soffre la figura del papà, accettandola nella sua marginalità senza particolari angosce, viceversa col passare degli anni il figlio potrà sviluppare sentimenti contrastanti nei confronti del genitore maschio.Anche questo è perfettamente naturale: l’elitaria esclusività della coppia coniugale – un meccanismo integrativo nei confronti del bambino soltanto fino ad un certo punto, poiché a questo non saranno mai concessi i privilegi particolari che regolano le dinamiche del rapporto padre-madre – potrà generare frustrazione nel figlio, che sperimenterà il suo sentirsi parzialmente escluso (benché amato, ma in maniera chiaramente differente). E nello svilupparsi di questi processi, è proprio ai margini dell’adolescenza che il rapporto padre-figlio raggiunge la sua fase più delicata. Il papà sarà infatti chiamato a svolgere la duplice funzione di genitore amorevole e di primo argine educativo; si tratta di un periodo altamente probante, ma che determinerà il buon rapporto tra un figlio maschio ed il suo papà.

La mancanza di una guida autorevole.

La mancanza di una guida, di un punto di riferimento forte che insegni lo spirito di sacrificio e il senso di responsabilità può avere effetti negativi sui figli. Il maschio “senza padre”, se ne è privo fin da piccolo, fatica a sentire le proprie potenzialità maschili.

Il padre oggi è, come direbbe Recalcati, “evaporato” sotto la spinta di una società che ha posto al suo centro il profitto ad ogni costo. Una “società liquida” dove i punti di riferimento di qualsiasi genere sono completamente assenti e dove anche i modelli storici, come quelli religiosi, faticano non poco ad affermarsi o a mantenere le loro posizioni. Una società nella quale il senso del dovere ha lasciato il posto all’edonismo e parole come “autorità” ad esempio, sono rifiutate o semplicemente ignorate.

Ecco  alcuni comportamenti da evitare con i figli

  1. Evita di proiettare sui figli la tua ansia e insicurezza. I padri-chioccia, super attenti e protettivi, che cercano di occuparsi di tutto e di prevenire qualsiasi problema impediscono quel sano processo che rende autonomo e forte il figlio e gli sottraggono la possibilità di «allenarsi» in vista dell’inserimento nella rete sociale. L’ansia paterna rischia sempre di essere tradotta dal bambino nella paura di pericoli reali, provocando timori e insicurezze profonde e difficilmente rimovibili.
  2. No ai giochi di potere. I padri autoritario spesso rischiano di abusare del proprio potere, fino a diventare involontariamente despoti o crudeli: sono i padri che svalorizzano costantemente le madri criticando le loro modalità educative o di cura dei figli; padri stanchi che impongono il silenzio, il dovere e il rispetto finendo per soffocare il desiderio di libertà e indipendenza dei figli, trasformati in obbedienti soldatini. Queste dinamiche spesso stanno alla base della sindrome di opposizione, che si manifesta anche con atti antisociali importanti.
  3. Non metterti in secondo piano rispetto alla mamma. I padri che delegano tutto alla moglie ribaltano il piano di maturazione affettiva del bambino, che avrebbe invece bisogno di trovare in lui la forza e l’autorità sulle quali costruire la propria sicurezza.
  4. Non mostrarti incoerente/imprevedibile. I padri che prima permettono e poi proibiscono la stessa azione, o viceversa, provocheranno nel bambino delle reazioni di difesa da questa figura che non garantisce sicurezza, ma, al contrario, la minaccia perché trasmette imprevedibilità e lascia la sensazione di non sapere mai che cosa aspettarsi.
  5. Non umiliare. I padri che prestano più attenzione agli elementi negativi del figlio e li sottolineano senza riconoscere gli aspetti di potenzialità già presenti e sviluppati, provocano una profonda svalutazione e la sensazione di non essere mai all’altezza o sufficientemente competitivi rispetto al mondo esterno.
  6. Non mostrare comportamenti estremi per sembrare giovane. Cosi si rischia di presentare un modello in cui, (volendo fare il ragazzo, ricorrendo a mezzi/comportamenti estremi pur di far colpo), si genera nel figlio la tendenza all’imitazione, quando forse quest’ultimo non e’ neanche  ancora al corrente del pericolo che certe azioni comportano.

Dopo i 18 anni
In questa fase di età il più è fatto, e si raccolgono i frutti del lavoro degli anni passati. È il momento in cui ci si confronta, in cui un padre dovrebbe ascoltare il figlio e favorire sempre il dialogo, dovrebbe guidare il ragazzo nelle scelte scolastiche e lavorative, ricordandosi che deve dare soprattutto il buon esempio: i figli imparano da quello che il padre fa, diventando, possibilmente il polo degli ideali e delle ambizioni per il figlio stesso.

Uscire vittoriosi da questa sfida non è semplice, ed è di cruciale importanza un dialogo sano e continuativo. Si tratterà dunque di sviluppare un rapporto leale e sincero, pur tenendo sempre presenti i dovuti “paletti” che determinano la separazione della figura genitoriale da quella del figlio; una situazione comunicativa che possa sfociare in un confronto la cui conflittualità sarà funzionale alla ricerca del sé del ragazzo, ed allo sviluppo della sua autonomia non più solamente nelle vesti di figlio, ma finalmente di persona. Anche e soprattutto nella percezione che egli avrà finalmente di sé stesso come tale. Sarà proprio a questo punto che le situazioni di conflitto tra papà e figlio tenderanno a scemare – venendo interrotte quando il padre lo riterrà opportuno – per raggiungere, al termine di questo processo, la promozione di un paradigma comunicativo più maturo. Nella fattispecie, come si suol dire, “da uomo a uomo“.La figura del papà quindi non può e non dev’essere in alcun modo ritenuta secondaria per definizione, soltanto perché appare ad un primo esame come marginale rispetto al ruolo della madre; poiché sta proprio nella sua naturale “secondarietà” il segreto del suo successo.

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One Reply to “Perche e’ importante il rapporto padre-figlio?”

  1. letto, riletto.
    riflettuto un pò su quanto letto e riletto di nuovo.
    …una delle frasi ricorrenti, dei luoghi comuni che ci hanno accompagnato è che non esiste una scuola per essere bravi padri.
    Vero, però gli spunti importanti letti in questo articolo lasciano il segno.
    Un importante vademecum…da leggere e rileggere
    io l’ho trovato, pur nella sua complessità, estremamente chiaro
    grazie
    Raniero Bartolucci

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